
Abbiamo dubbi sulle modalità «privatistiche» con cui sono state delegate a diversi Consorzi le politiche per ottimizzare la raccolta dei rifiuti di filiera e il riciclo delle materie prime secondarie. Attendiamo gli effetti che potranno procurare le conclusioni della Relazione sui Consorzi e il Mercato del Riciclo realizzata dalla Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati.
I consorzi di filiera non costituiscono un modello esclusivo di gestione efficace del riciclo ma sono storicamente legati a un’evoluzione che ha richiesto un sostegno, mediante figure di questa natura, alle insufficienze del mercato. Come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, non si tratta di consorzi obbligatori ai sensi degli articoli 2616 e seguenti del codice civile, nemmeno in forza del fatto che siano costituiti mediante provvedimenti legislativi; essi sono espressamente qualificati come soggetti muniti di personalità giuridica di diritto privato e la coesistenza di operatori privati che organizzano sistemi autonomi di gestione, comporta l’inapplicabilità dei principi in tema di consorzi obbligatori, con conseguente applicazione ai consorzi in esame della disciplina codicistica dei consorzi volontari; l’attività posta in essere dai consorzi di filiera, non è un servizio pubblico in senso stretto, bensì un’attività di pubblico interesse. Ne deriva l’apertura a un sistema tendenzialmente concorrenziale, rispetto al quale sono da tenere sotto osservazione prassi e comportamenti ostativi. Nell’ambito dei consorzi vi sono diversi modelli organizzativi per l’adempimento degli obblighi derivanti dalla responsabilità estesa (o condivisa) del produttore. L’eterogeneità dei modelli di per sé non costituisce un limite del sistema poiché il modello organizzativo necessita di conformarsi al mercato di riferimento, e i mercati dei rifiuti e dei materiali in cui si inserisce l’attività di tali soggetti non sono certamente omogenei.
Tuttavia, pur ammettendo che non si ravvisi la necessità di individuare un unico modello cui uniformare le diverse figure, il grado di diversità riscontrato appare eccessivo.
In particolare, a fronte di un medesimo principio di base, che impone di creare un meccanismo che copra i costi di raccolta e recupero dei rifiuti su tutto il territorio nazionale, le configurazioni organizzative presentano modelli in cui diverso è il peso dei produttori del prodotto, in taluni schemi unici soggetti legittimati a consorziarsi, in altri nei quali la partecipazione al consorzio si configura come “eventuale”; modelli in cui si è in presenza di un unico consorzio obbligatorio e sistemi in cui i consorzi sono in concorrenza tra di loro; tra questi ultimi taluni hanno meccanismi di coordinamento, altri no.
La frammentazione normativa rende scarsamente leggibile la disciplina dei consorzi ed è parallela a una disomogeneità che si estende dagli aspetti organizzativi a quelli di gestione economico-finanziaria. Appare auspicabile che il legislatore intervenga per garantire una uniformazione dei criteri minimi cui devono conformarsi i sistemi collettivi, in una logica di efficienza e trasparenza del sistema e nel rispetto dei principi previsti a livello europeo con riferimento alla responsabilità estesa del produttore. E’ emerso un deficit di effettività della disciplina dei consorzi derivante dall’assenza, o grave insufficienza, dei controlli sui sistemi collettivi e sulla loro attività. I controlli possono in astratto essere considerati in almeno due fasi: una preventiva, al momento di attività di riconoscimento o approvazione di atti da parte dell’amministrazione pubblica, e una successiva, sulla corrispondenza tra i dati e le informazioni rese da tali soggetti e l’attività effettivamente svolta. In entrambe tali accezioni il sistema dei controlli appare gravemente carente. In particolare, sia dalle amministrazioni competenti ascoltate sul punto, che dagli stessi consorzi, è stato riferito di un’attività che in alcuni casi non viene svolta del tutto, per strutturali inefficienze dell’amministrazione, come ad esempio sulla verifica del funzionamento dei sistemi collettivi, della determinazione del contributo ambientale, dell’attuazione dei programmi di prevenzione della produzione di rifiuti. Non sono emersi controlli effettuati dal sistema delle agenzie ambientali sul trattamento di tali rifiuti e sulla corrispondenza a standard qualitativi minimi cui dovrebbe essere informata l’attività dei consorzi. Infine non sono state individuate prassi di controllo dei dati forniti
dai produttori con riferimento all’immesso sul mercato.
Una carenza normativa specifica potrebbe essere considerata causa concorrente dell’inefficienza dei controlli. Non sono infatti adeguatamente definiti dal legislatore i poteri di controllo e vigilanza da parte delle amministrazioni competenti e i relativi poteri sanzionatori.
In particolare non sono adeguatamente indicati gli atti in cui dovrebbe concretarsi l’attività di verifica e i soggetti competenti. In presenza di un bilancio non congruo che imputasse al contributo ambientale costi non connessi all’attività di gestione dei rifiuti, ad esempio, non appare affatto chiaro quali siano i poteri del Ministero dell’ambiente – se di tipo meramente dichiarativo, sanzionatorio o anche inibitorio dell’attività – che ravvisasse tali irregolarità.
Una revisione delle norme riguardanti il potere di vigilanza su tali profili dovrebbe dunque individuare, in modo omogeneo per tutte le filiere, quali siano i poteri di vigilanza, che dovrebbero auspicabilmente essere declinati, in ossequio alla tipicità dell’azione amministrativa, in modo puntuale, prevedendo una gradualità delle fattispecie sanzionate e delle sanzioni, tipizzate e tali che possano condurre all’inibizione dell’attività, ovvero della possibilità di percepire il contributo ambientale, in caso di violazioni reiterate o di inadempimenti alle richieste di informazione provenienti dalle amministrazioni competenti o dagli organi di controllo. I bilanci dei consorzi rivelano anch’essi una difformità gestionale non del tutto giustificata alla luce della diversità delle materie trattate; in particolare l’imputazione di fondi a riserve, risolvendosi di fatto in una “stanza di compensazione” rispetto a oscillazioni economiche di mercato, rischia di contraddire la ratio dell’istituto; vi è poi da considerare che, in carenza di controlli specifici, non vi è verifica della coerenza di talune voci di bilancio, in particolare per quanto riguarda i costi di struttura. La funzione pubblica di controllo ambientale e l’attività giudiziaria devono riservare un interesse specifico alla fuoriuscita illecita di materia dal circuito del riciclo, che si manifesta su più fronti e produce un significativo danno ambientale ed un altrettanto significativo danno all’economia, a cui vengono sottratte rilevanti
quantità di materia che potrebbe essere riciclata in maniera economicamente vantaggiosa e ambientalmente corretta.