La reputazione è un asset intangibile essenziale per l’affermazione di ogni attività produttiva, fondamentale per sostenere lo sviluppo e l’innovazione. La reputazione ha conquistato un’importanza determinante con l’avvento della tecnologia digitale, una rivoluzione che ha generato il big data, un arcipelago di data base che tendono a interconnettersi. Aumentano le informazioni e diminuisce il costo per raccoglierle e archiviarle.
La vita digitale delle attività produttive è ormai consistente, lascia tracce ad ampio raggio: quello che si dice di un’Impresa a confronto con quello che un’Impresa dice in rete; queste tracce, invasive e permanenti, costruiscono la reputazione in maniera praticamente automatica e con una logica molto complessa. Gestire la propria reputazione significa prevedere comportamenti, seguire le tracce sparse in rete, tenerle sotto controllo, intervenire per non farsi cogliere impreparati e, in ogni modo possibile e competente, coltivare relazioni e acquisire accreditamenti.
Il Bilancio di Sostenibilità è un serbatoio di informazioni utili e costruttive per gestire la propria reputazione.
Il management della reputazione è una nuova arte d’informazione e contro-informazione.
La reputazione può essere creata, coltivata e difesa. Una reputazione è rilevata in maniera attendibile se proviene da fonti diversificate. Oltre il web è necessario completare la raccolta delle informazioni in maniera tradizionale, cioè con indagini reali, in modo da definire il “campo” in maniera più rappresentativa.
Internet nasconde diversi rischi, anche criminali, che occorre esplorare per poterli prevenire e contrastare. Sono criticità che la legge ancora non ha regolato (nel rispetto della libertà fondante della rete) e che, quindi, sono soggette a interpretazioni giurisprudenziali talvolta anche arbitrarie. Solo i crimini informatici inerenti operazioni illegittime nei sistemi tecnologici trovano una trattazione giuridica “basica”.
La diffamazione digitale, ad esempio, stenta a trovare riferimenti nella normativa vigente (giornali e tv) perché non è facile individuare il responsabile del sito (soprattutto per il carattere transnazionale della rete che rende incerta l’individuazione dei server e, quindi, del giudice territorialmente competente; ulteriore ostacolo è la diversità normativa tra Paesi) e ancora meno ottenere eventuali risarcimenti.
La libertà di espressione corre parallela alla carenza di regole professionali che invece i media tradizionali garantiscono meglio. Senza concorso diretto al reato i responsabili del sito, ove evidenti, raramente rispondono di quanto pubblicato. In rete ognuno è responsabile di quello che dice e fa. Non esistono “direttori responsabili” e, se esistono, sono difficilmente colpevoli ove non chiaramente complici.
Secondo la Cassazione, gli interventi in rete, in numero sproporzionato rispetto a quelli tradizionali, «sono caratterizzati, agli occhi dei frequentatori, da un’elevata dose di soggettivismo e di relatività, se non di deliberata unilateralità o di assoluta estemporaneità»; ne consegue che l’effetto lesivo della reputazione non ha sufficiente rilevanza giuridica, più vicina al diritto di critica individuale senza obbligo di rendicontazione e verifica. L’anonimato e la quantità di interventi consentiti dalla facilità di accesso riducono la credibilità di quanto asserito.
Questo non significa che “le chiacchiere web” non debbano essere monitorate e gestite con attenzione puntuale e con professionalità adeguata.
Analogo alla diffamazione il messaggio minaccioso e minatorio; oppure “l’aggiotaggio informatico”, ossia la manipolazione del senso e dei contenuti; colpisce infine la violazione della privacy il cui concetto nella società dell’informazione è destinato a mutare radicalmente.
In definitiva, in questa fase di incerta transizione, la difesa della propria reputazione richiede una costante attenzione e un continuo monitoraggio in modo da non trovarsi colpiti e danneggiati seriamente senza la possibilità di ottenere tutela legale e senza le necessarie contromisure. Ogni reazione non può che essere intelligente, senza colpi diretti, solo basata sull’informazione puntuale e credibile, evitando sospette autoreferenzialità. Per questo, anche in questo caso, è auspicabile la conferma in terzietà, cioè far dire ad altri credibili, la smentita o la correzione delle affermazioni avverse. ConsumerLab può essere utile in queste circostanze.
La democrazia moderna ha dato valore al popolo, all’opinione pubblica. Anche se sarebbe meglio dire alla sua rappresentanza organizzata e strutturata, in effetti una minoranza. Questo ha reso la propaganda determinante per il potere, obbligandola a diventare articolata, complessa ed estesa; è rimasta una struttura occulta perché continua a lavorare sulla “pancia” della gente, cioè l’inconscio profondo e la ragione superficiale dove generare sensazioni ed emozioni forti, capaci di determinare comportamenti e scelte.
È rimasta infatti analoga nel tempo l’azione sistematica della propaganda con cui influenzare e anche manipolare la cognizione di fatti e realtà al fine di ottenere un consenso favorevole anche se non pienamente corrispondente alle verità generali. La propaganda oggi è la sintesi della informazione mediatica, pubblicità, lobbismo, marketing, social networking, espressioni culturali e altro. In pratica la ricerca del consenso è diventata una scienza quasi esatta.
La velocità con cui si evolvono i diversi strumenti del consenso, l’intreccio e la trasversalità con cui si applicano, i processi con cui vengono assorbiti, stanno generando complicazioni irrisolvibili per cui la verità non è più unica ma pluriforme, adattabile a interpretazioni e usi di parte. La verità pluriforme nella società della comunicazione si chiama anche “post verità”, dove i fatti oggettivi e le realtà assolute diventano multidimensionali: soggettive, settoriali, dinamiche, effimere, polarizzate. Vero e falso si mischiano con le opinioni più variegate creando notizie artefatte e contraddittorie a cui si crede perché ci si vuol credere e non perché sono credibili. L’abbondanza informativa nella società della comunicazione induce a confondere l’attenzione dei destinatari; l’efficacia obbliga a sintetizzare per schemi e slogan, rinvigorendo i pregiudizi.
È sparito l’ipse dixit, la voce autorevole che aggregava e unificava l’attenzione e il consenso di massa.
Il consenso si ottiene suonando le corde giuste, quelle che promettono risultati semplici e veloci, pratici e palpabili. Occorre un vero e proprio sistema operativo, una “fabbrica del consenso”, per cablare tutte le componenti psicologiche, sociologiche ed economiche con le esperienze e le esigenze, i desideri e i sogni.
La partecipazione, allargata e facilitata dal web, genera il festival degli stereotipi, dei luoghi comuni; ognuno cerca di uscire dalla massa e distinguere la sua individualità omologandosi ad una delle innumerevoli polarizzazioni dogmatiche che nascono ogni giorno (siti, blog, social, newsletter…); realizza così il suo “ergo sum” con velocità e semplicità; realizza la sua comunità limitata e autoreferenziale con cui aumenta indiscriminatamente le diversità senza contribuire alla creazione di qualsiasi valore.
L’ipse dixit si frantuma in tanti rivoli, ognuno dei quali porta la sua verità. Senza alcun filtro professionale del giornalista e dell’opinionista. Filtri professionali che comunque ormai sono piuttosto screditati per libertà e indipendenza.
Le masse hanno quindi conoscenze superficiali e composite; hanno interessi personali, il bene comune e l’interesse generale è vivo a parole ma vale per l’altro; per questo il valore è quello della verità pluriforme, ad personam. Le mediocrità individuali cercano visibilità seminando odio e sputando veleno. Solo la solida reputazione, radicata nel consenso reale, è l’argine ai post “spregiudicati”.
Il Bilancio di Sostenibilità deve interpretare questa realtà per essere letto e condiviso.
Molte menzogne sono nascoste in internet, chi ci lavora lo sa bene, ma la maggioranza degli utenti ancora crede che sia il paradiso della libertà e della disintermediazione, democratico e privo di condizionamenti. Sono luoghi comuni assorbiti dall’utente medio. Non ci addentriamo nei rating e nelle misurazioni di traffico, nelle informazioni che girano senza controllo di veridicità, fondatezza e validità, tutte confuse con quelle autorevoli e valide.
Le informazioni, vere o false, si propagano con la stessa modalità tsunami, magari più veloci e dirompenti (se false). Non si può tornare indietro, oggi ci piace troppo questa innovazione! Rendiamoci conto però che possiamo essere manipolati e che la nostra privacy è davvero a rischio.
Un Bilancio di Sostenibilità concreto, caratterizzato e attendibile, può essere un importante stimolo al confronto e alla sua regolazione.