
I risparmi depositati in banca sono aumentati più del 10%, 175 miliardi; il volume totale dei risparmi, giacenti su conti correnti, supera il 1.700 miliardi.
Tre osservazioni:
- la prima, sono soldi che non rendono, alle banche costano e cominciano a costare anche ai risparmiatori con tassi negativi e maggiori competenze;
- la seconda, 175 miliardi è una somma allineata al maggior debito pubblico generato per la pandemia (pari a 159 miliardi);
- la terza, 1.700 miliardi è una somma vicina all’intero debito pubblico (pari a 2.600 miliardi) se anche sommata a parte degli investimenti finanziari detenuti, in buona parte investiti all’estero con spirito speculativo.
Che significa?
Significa che non c’è programmazione né guida da parte dello Stato, che gli investimenti latitano a favore dell’assistenzialismo. Che il debito pubblico accumulato non è ne buono ne cattivo, è sterile.
Significa che gli italiani non sanno investire, sono risparmiatori vecchio stile, che il mondo finanziario non è accattivante e lo Stato certamente non favorisce gli investimenti in attività produttive con una politica fiscale che li considera speculativi. Gli italiani investono del debito pubblico del loro Stato molto meno che in passato; investono poco nelle imprese nostrane.
Va ricordato che la capitalizzazione delle imprese italiane è insufficiente e questo frena la loro crescita dimensionale. Il nostro tessuto produttivo si basa su piccole e medie imprese; in un sistema globalizzato che cresce con l’innovazione e la sostenibilità è una debolezza, molto rischiosa.
Oltre alla puntualità per concretizzare i fondi del PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è quindi fondamentale creare le condizioni di fiducia e convenienza affinché gli italiani investano su se stessi e non sul resto del mondo.