
La parcellizzazione delle ideologie, l’interpretazione soggettiva di ogni loro frammento, l’indebita appropriazione dei loro principi ispitatori ha polarizzato i riferimenti e diviso le argomentazioni, riducendone l’attrattività.
Le aggregazioni sono quindi meno efficaci e incoerenti perché quando si collegano trasversalmente hanno ambizioni inorganiche, quindi effimere.
Il potere delle rappresentanze divise non contrasta le derive della finanza e delle concentrazioni economiche. Risultato più evidente è, nel mercato l’infedeltà e l’instabilità dei consumatori; nella comunità la debole coesione sociale e la marcata iniquità nella distribuzione delle risorse; nell’elettorato la mobilità e l’astensione; nella politica l’affermarsi del populismo e della teocrazia strumentale alle dittature.
Il cittadino comune non è in grado, ora più che mai, di comprendere la realtà con la semplice informazione. La complessità dello sviluppo, marcato da tecnologie e finanza in mano a pochi, articolato dalle variabili della globalizzazione, emargina la maggioranza popolare da una partecipazione attiva.
Serve riportare alla centralità il “diritto di conoscere” nel nome di una democrazia liberale matrice di un capitalismo sociale.
Focalizziamoci sulla mancanza di trasparenza nelle decisioni adottate da Imprese d’interesse pubblico, in particolare nel loro percorso di trasformazione sostenibile. In una società che pretende il benessere la politica ha scelte obbligate. Le grandi concentrazioni hanno una influenza penetrante sulle decisioni tanto della politica quanto delle altre Imprese. Sono reponsabili della irrequitezza sociale che si nasconde nell’abbandono della partecipazione attiva, delusa e frustrata, tradita dalla disinformazione o peggio dalla propaganda.
La verità non sempre viene a galla e, talvolta, quando viene a galla è tardi.
Conoscere è fondamentale in un momento in cui siamo bersagli di un diluvio informativo, anche manipolato ad arte per influenzare scelte che fanno comodo a chi le manovra. Conoscere consente di capire e scegliere nel modo appropriato; l’insieme delle conoscenze è la cultura che fa capire quello che si sa; in pratica occorre trasformare le informazioni in conoscenza; serve una educazione per la conoscenza.
Non si tratta di costruire un pensiero unico ma di mettere in grado i cittadini di scegliere ciò che è veramente funzionale e allineato alle proprie idee e alle proprie esigenze di vita.
Conoscere significa avere educazione civica, finanziaria, dei diritti al pari dei doveri. Una educazione soppressa dal consumismo, dalle vie brevi al successo, dalle illusioni di avere opportunità accessibili senza sacrificio, impegno e competenza.
Lo sviluppo economico squilibrato, l’ascensore sociale bloccato, le ultime crisi globali che si sono accavallate hanno creato nuove povertà e nuovi impoverimenti. La giustificazione di questi passi indietro nello status sociale cerca motivazione generaliste e destrutturate, si attacca a capri espiatori estemporanei (i fronti del no) per giustificare la propria condizione, per sentirsi vivi.
La superficialità imperante ha dato alle relazioni lo stesso valore della competenza; in politica entrano persone normali, mentre quelle di talento tendono a preferire la professione, la finanza, l’Impresa. Così la politica ha due strade: essere burattina della finanza e dei suoi derivati, ovvero sperperare la ricchezza pubblica concedendo alle clientele vantaggi e prebende ingiustificabili secondo la corretta e lungimirante amministrazione.
L’educazione alla conoscenza ha oggi una strada maestra, quella emersa della traversie dei tempi e resa indispensabile per il futuro. Una trasformazione sostenible del modo di produrre, consumare e governare. Le Imprese siano driver convinti di questa educazione alla conoscenza visto che sono la forza più concreta e utile vicina ai cittadini, uniti da una convenienza reciproca.