
La crisi ha tagliato il budget complessivo del 16 per cento, ma otto imprese su dieci
avranno a sistema modelli di economia circolare
IL SOLE 24ORE – Chiara Bussi
Sostenibili per scelta o per necessità. Vuoi per la spinta dell’Agenda Onu 2030 e del Green Deal europeo o per l’effetto volàno dell’obbligo di rendicontazione non finanziaria per le più grandi, le imprese ormai ci credono. Tanto che la sostenibilità nelle sue tre declinazioni (ambientale, sociale ed economica) è diventata il nuovo paradigma.
Secondo l’ultima fotografia dell’Osservatorio Socialis il 92% delle aziende con almeno 80 dipendenti si è affidata nel 2019 a iniziative di Csr (Corporate social responsibility) e sostenibilità. Un trend in crescita rispetto all’85% del 2017 e al 44% del 2001. Gli investimenti hanno raggiunto la quota record di 1,771 miliardi, con uno scatto in avanti del 25% in due anni e una spesa media annua di oltre 240 mila euro. Tra i settori si mettono in luce l’industria manifatturiera, quella metallurgica, la finanza e il commercio. Per chi l’ha imboccata, questa strada paga sotto vari aspetti: migliora il rapporto con il territorio e le comunità locali (40%), la notorietà dell’azienda (37%), la reputazione (36%) e la relazione con la pubblica amministrazione (35 per cento).
Poi è arrivato il Covid a scompigliare le carte. Se quattro imprese su dieci hanno lasciato invariata la dotazione per la sostenibilità, il 37% del campione è stato costretto a ridurla o annullarla. C’è però una quota del 18% che non aveva previsto un budget, ma in seguito all’emergenza sanitaria ha deciso di stanziarne uno. Secondo le prime stime il 2020 potrebbe portare con sé una contrazione della spesa media del 16 per cento. «Ma la tendenza – fa notare il direttore dell’Osservatorio Roberto Orsi – sarà diversa a seconda dei settori. Se quelli particolarmente colpiti dalla pandemia potrebbero temporaneamente congelare le risorse previste, altri le aumenteranno. Quel che conta è che secondo quasi 8 aziende su 10 nel prossimo futuro la Csr sarà messa a sistema e maggiormente organizzata nel modello di business. Il dato è incoraggiante: dimostra che la tendenza è ormai in atto e la consapevolezza è acquisita».
Da azione di marketing e comunicazione, con il passare degli anni la sostenibilità è diventata un elemento chiave della strategia d’impresa, come spiega Federica Doni, che insieme a Carla Gulotta dirige il master Silfim (Sostenibilità in diritto, finanza e management) dell’Università Bicocca di Milano. «È un percorso diverso – dice – a seconda della tipologia e della dimensione dell’azienda. Ma oggi la sostenibilità riguarda tutte le fasi di attività, comincia dall’ufficio acquisti e prosegue per la catena di fornitura, fino al prodotto finito e alla vendita. Si sta creando un ecosistema dove tutti gli attori privilegiano questa strada. Chi non compie scelte sostenibili, comprese le imprese più piccole, parte determinante della supply chain, rischia di essere tagliato fuori dal mercato».
L’obiettivo finale della creazione di valore resta, ma viene affiancato dalla dimensione sociale e ambientale.
Oltre ad agire diventa fondamentale monitorare. Per verificare l’efficacia delle misure, sottolinea Doni, «è utile prevedere indicatori interni. Il lavoro svolto può essere raccontato in molti modi: per le imprese che non hanno l’obbligo della rendicontazione non finanziaria potrebbe essere utile una reportistica interna per alimentare la cultura della sostenibilità. Chi ha già fatto passi avanti significativi non si accontenta della Dnf, ma include le scelte sostenibili nel piano strategico». Un’ulteriore spinta potrebbe arrivare dal fisco. Secondo Orsi «sarebbe opportuno introdurre incentivi per incoraggiare e premiare le imprese virtuose su questo fronte».
Dai consumatori, intanto, arriva la richiesta di una maggiore chiarezza. «Un’impresa sostenibile – dice Francesco Tamburella, coordinatore del Centro studi ConsumerLab – è solida perché crea valore vero, per bene perché lo produce senza danni collaterali, vizi occulti e rischi non calcolati, lungimirante per la visione di lungo periodo, generosa perché condivide parte del valore creato». Eppure, aggiunge, «ancora oggi i consumatori ritengono l’ambiente il pilastro della sostenibilità dimenticando gli aspetti economici e sociali, altrettanto cruciali. Le imprese, dal canto loro, si esprimono in modo generico o monotematico. Oppure con un Bilancio di sostenibilità complesso e voluminoso, che i consumatori non leggono».
A imprimere un’accelerazione in nome della sostenibilità (e della trasparenza) potrebbe essere la revisione della direttiva Ue del 2014 sull’obbligo della Dichiarazione non finanziaria (che in Italia è entrata in vigore nel 2017) avviata dalla Commissione Ue. «Un ampliamento della platea – conclude Doni – contribuirebbe a spronare anche le imprese più piccole». A maggio si è conclusa la consultazione pubblica e ora si attende la prossima mossa di Bruxelles, una nuova direttiva o un Regolamento nel primo trimestre 2021.