Fuggono i cervelli arrivano le braccia. Questo in sintesi uno dei problemi di fondo che, associato alla natalità decrescente, sta diventando una mina del futuro.
La mancata crescita dell’occupazione mette in crisi il sistema pensionistico; l’offerta di lavoro non coincide con la domanda per la carente programmazione pre/post universitaria; la cadente fiducia nella formazione come garanzia di occupazione causa ogni anno mezzo milione di abbandoni (una generazione piena), e sessantamila cervelli in fuga (un terzo dei laureati).
L’istruzione lontana dal mercato crea titoli di studio disallineati tra domanda e offerta di lavoro; lasciando le cose come stanno mancheranno oltre un milione di lavoratori con la giusta formazione e specializzazione.
Già oggi nelle aree sviluppate le imprese non trovano risorse umane sufficientemente preparate professionalmente; questo blocca l’innovazione per la crescita.
L’Italia non è più “miracolo economico”, non ha più attrattività per i talenti italiani e stranieri.
L’immigrazione non qualificata, al pari degli abbandoni scolastici, aumenta il rischio povertà ed esclusione sociale perché, senza conoscenza, il lavoro non offre soddisfazione e può aprire il varco alla sirena dei guadagni facili nella criminalità, oppure alla disoccupazione edulcorata dal reddito di cittadinanza.
Le Imprese dovrebbero avere interesse diretto a contrastare questa situazione, impegnandosi, nei modi e nei tempi possibili, conformi alle loro esigenze, a fare la loro parte. Un concreto impatto sociale che rende l’Impresa sostenibile vuole asili nido, scuole di formazione proprie o consortili, scuola-lavoro efficace, social housing, carriere meritocratiche, incubatori di startup; soprattutto con investimenti misurabili più in euro che a parole. Anche lo Stato dovrebbe fare concretamente la sua parte con norme che agevolino e sostengano tali azioni favorendone l’adozione da parte delle Imprese.