
L’Italia nasconde una delle sue parti migliori, i comparti dell’economia sostenibile, della bioeconomia, della chimica verde, della sicurezza alimentare, dei prodotti biologici, delle migliaia di biodiversità animali e vegetali tutelate.
In questi comparti siamo davvero innovativi e competitivi, leader in Europa e nel mondo. Il futuro appare positivo perché la Sostenibilità è nel DNA del manifatturiero italiano: qualità della manifattura e dei materiali impiegati, innovazione del design, artigianalità creativa delle produzioni, immagine generale del Made in Italy.
La dimostrazione della propria Sostenibilità non è sufficientemente affermata e divulgata dalle Imprese italiane; viene ancora considerato un asset marginale, quasi una moda a cui sottostare.
Da questi comparti dobbiamo trarre idee e sviluppare iniziative che estendano il campo di azione alle PMI, alla Pubblica Amministrazione, influenzando positivamente e costruttivamente gli altri comparti dell’economia che devono recuperare il terreno della produttività, dell’innovazione e della eccellenza qualitativa.
Questi primati non bastano; non siamo presenti tra le 10 nazioni (tutte europee) in testa nella classifica mondiale 2018 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).
Il coinvolgimento e la consapevolezza dei Consumatori rappresentano la chiave vincente; dai Consumatori può arrivare la spinta decisiva a generalizzare la Sostenibilità come leva per l’innovazione (processo, prodotto, marketing e management).
Ancora oggi, nella consapevolezza popolare, il concetto di Sostenibilità è troppo circoscritto alla tutela dell’ambiente, così come il concetto di EC – Economia Circolare viene sostanzialmente riferito alla raccolta differenziata dei rifiuti. I concetti sono invece molto più ampi e impegnativi; per la loro affermazione diffusa la strada della divulgazione e della condivisione rimane ancora lunga.
Il paradigma dell’EC prevede che tutte le Imprese riconoscano, oltre il livello di degrado territoriale, sociale ed economico conseguente alla cieca rincorsa allo sviluppo lineare, fortemente dissipativo e incontrollato, il carattere finito delle risorse, i limiti biofisici del pianeta, adottando una inversione convinta della politica industriale: riorganizzando i cicli di produzione, abbandonando la logica di approvvigionamento-produzioneutilizzo-scarto, per ridurre drasticamente eccedenze e residui, per incrementare recupero e riciclo; migliorando la progettazione dei prodotti per allungarne la vita, per facilitarne la riparazione e la rigenerazione nell’ottica del ricondizionamento e del nuovo ciclo di vita.
In generale occorre scindere lo sviluppo dai consumi e dare sintonia alla società nell’economia. Abbandonare il metodo “acquista-usa-getta” e adottare il metodo “utilizzo-condivisione” concependo il prodotto come un servizio, progettando produzione e consumo oltre il consumo stesso.
Una nuova efficienza di produzione e consumo va dedicata al bene comune oltre che al profitto. Non possiamo assistere impassibili alla incapacità crescente del pianeta di assorbire e smaltire i rifiuti insieme all’impossibilità di garantire scorte di risorse infinite. Occorre ottimizzare l’utilizzo delle risorse esistenti, ben sapendo che ad un certo momento si esauriranno.
La cultura della Sostenibilità, tanto nella produzione quanto nel consumo, non è ancora sufficientemente popolare per improntare con efficacia nuovi stili di vita e diventare asse portante del futuro.
Un metodo giusto è quello di farne conoscere, user friendly, i vantaggi concreti, coinvolgendo i Consumatori per renderli più consapevoli anche nelle scelte di acquisto.
La cultura della Sostenibilità serve a contrastare la fragilità dei tempi e la vulnerabilità dello sviluppo; emerge con forza la necessità di cercare una crescita qualitativa più che quantitativa. Occorre far emergere una visione positiva del mercato e della società che incentivi la voglia di cambiare, adattandosi a stili di vita consapevoli degli effetti indotti che possono provocare danni.
Una visione di buon senso che alimenti la fiducia e faccia spazio alla speranza che il mercato sia più positivo e che le attività produttive non pensino solo al profitto.
Risulta ogni giorno più evidente che l’Impresa, adottando una governance sostenibile, conquista un vantaggio competitivo e si rende locomotiva per l’affermazione della cultura diffusa della Sostenibilità.
La cultura della Sostenibilità, nell’intento di coniugare gli interessi di produzione e consumo per affermare una diversa matrice dello sviluppo, ha sostanzialmente tre obiettivi di fondo:
• Creare armonia tra produzione e consumo nel rispetto del bene comune.
• Evidenziare le Imprese impegnate per uno sviluppo attento al futuro e orientate al benessere diffuso.
• Sensibilizzare i Consumatori a preferire Imprese che creano valore condiviso e adottare parallelamente stili di vita meno egoisti.
Imprese e Consumatori devono interagire per innescare un circuito positivo in cui la Sostenibilità venga posta alla base tanto delle attività produttive quanto delle scelte di consumo.
Il modello di sviluppo in essere sta dimostrando concretamente i suoi limiti, gli effetti perversi, la promesse mancate. Senza garantire coesione sociale, equa distribuzione del benessere, legame rispettoso con i territori, innovazione consapevole, ogni modello di sviluppo perde resilienza e non può affrontare il futuro complicato dalla globalizzazione, dalle tecnologie tendenzialmente
dominanti sull’uomo, dalla concentrazione invadente della finanza speculativa.
Va decisamente corretto l’andazzo di una finanza predatoria che cerca il massimo profitto con il minimo sforzo e nel più breve tempo, utilizzando il risparmio di chi lavora e produce valore concreto.
Una governance sostenibile impegnata nell’EC ha effetto calmierante sulle speculazioni finanziarie, che drenano ricchezza a svantaggio del lavoro e dell’economia reale, aumentando la povertà e le disuguaglianze.
Infatti il concetto di EC raggiunge più facilmente il coinvolgimento diretto dei Consumatori, focalizzando la responsabilità sulle abitudini individuali con la massima efficacia. Partendo dal basso, interessando i singoli, ogni azione collettiva può avere maggiore successo e con effetti più tempestivi.
L’EC evidenzia con immediatezza l’opportunità di un vantaggio (ma non un risultato concreto e diretto) e consente un’applicazione semplice e visibile anche nelle relazioni sociali. Possiamo dire che chi conosce l’EC l’adotta con un interesse partecipativo più concreto, intuendo che non comporta sacrifici ma recupera la saggezza di comportamenti più intelligenti e civili in tutti i consumi.
Più ampia e valida sarà la conoscenza, più attiva sarà la condivisione e concreta l’adesione. Partendo dalla raccolta differenziata si passa facilmente ad adottare la più ampia filosofia del riciclo, del riuso, della riparazione, della scelta di prodotti durevoli, manutenibili, modulari, della condivisione di strumenti (poolingsharing-noleggio).
Abbiamo detto che per l’affermazione diffusa dell’EC la strada della divulgazione e della condivisione rimane ancora lunga.
Un primo passo è rendersi conto che non tutte le tecnologie portano effetti positivi; senza la saggezza della Sostenibilità, senza la lungimiranza dell’Ecodesign e senza la coscienza dell’EC, la tecnologia potrebbe disattendere utilità positive.
L’innovazione tecnologica, al servizio dello stato sociale e dell’EC, deve adoperarsi a correggere gli errori dell’attuale modello di sviluppo, di cui è, in parte, causa.
Le tecnologie digitali insieme ad ogni altra nuova tecnologia che supera quelle esistenti (internet che mette in connessione cose e persone con l’intelligenza artificiale, la sensoristica, i big data, le stampanti 3D, i nuovi materiali, la chimica più amica con l’evoluzione dei prodotti intermedi…) possono costruire proficuamente il supporto a modelli di business nell’EC per un importante contributo alla Sostenibilità.
Lavorare sul senso comune, sulla critica allo sviluppo lineare, sulla credibilità dei vantaggi e sulla diffidenza ai cambiamenti radicali richiede un impegno a tutto campo.
Serve comunque, alla base di tutto, un intervento pubblico di politica economica che crei il terreno di base con condizioni abilitanti alla sensibilità collettiva, orientati allo stimolo di nuovi comportamenti; più incentivi a processi circolari piuttosto che deterrenze a processi lineari, pur sempre con l’attenzione ai controlli sul rispetto delle norme, sul mantenimento degli impegni e delle promesse, sull’andamento e sui risultati.
I vantaggi non si limitano alla cura del territorio, al contrasto del degrado, alla tutela dell’ambiente, alla trasformazione dei rifiuti in risorse; si estendono alla coesione sociale, alla reingegnerizzazione dei processi e dei prodotti, al risparmio energetico (con le fonti naturali) e di materie prime (con le materie recuperate per il riciclo), all’efficientamento della digitalizzazione.
In particolare la bioeconomia, integrata al modello di EC, procura anche spazi per nuove professioni e imprenditorialità (soprattutto nelle aree marginali e depresse) che richiedono e stimolano innovazione continua.
La guida istituzionale, locale, nazionale ed europea non basta; serve l’impegno delle Imprese a proporre prodotti con evidenti contenuti circolari, supportati e avvalorati da Università ed Enti di ricerca, promossi dalle Associazioni dei Consumatori.
L’adesione dei Consumatori sarà conseguente; occorre comunque superare la poca fiducia nella capacità d’intervento “non clientelare” della politica; la rigidità del credito verso le nuove frontiere con la conseguente carenza di investimenti; la resistenza comunque radicata nel sistema produttivo verso i cambiamenti, dall’allestimento di filiere efficienti e complete, soprattutto di materie prime e
seconde; insomma rigenerare i paradigmi mentali dei Cittadini, Consumatori, imprenditori, professionisti, politici.
Il Consumatore deve avere la possibilità di scegliere con chiarezza (etichette appropriate e sigilli di accreditamento) i prodotti che facilitano l’EC, che valorizzano la logica bio nei sistemi di produzione, che definiscono la loro origine e che ne perfezionano l’impatto ambientale al minimo ragionevole; per questo va formalizzata la promozione di etichettatura performante in questa direzione: ecco il Riconoscimento Ecodesign Respect.
Fondamentale quindi l’impegno a tutto campo: politica ed istituzioni, comunità, finanza, media, Imprese, tecnologia; il Consumatore si adatta, l’impegno segue la convenienza e l’attrazione sociale.
La realtà del nostro apparato economico è favorevole al nuovo paradigma dell’EC. Dobbiamo conservare e valorizzare il patrimonio naturale come abbiamo conservato e valorizzato il nostro patrimonio culturale; basterebbe trasferire la tecnologia, che abbiamo insegnato al mondo, per la conservazione-manutenzione-restauro del patrimonio culturale al patrimonio naturale per portare molto avanti la sensibilizzazione sociale al nuovo paradigma.
La filiera dell’EC è strutturata da Piccole e Medie Imprese, molto congeniali al sistema italiano. Il design è una nostra forza altamente competitiva e rappresenta la prima valenza dei prodotti realizzati con materie seconde.
La carenza di materie prime ci ha abituati a trasformare; avere meno bisogno di materie prime rafforza il nostro sistema e lo rende più stabile e resiliente, adatto al lungo termine; assume maggiore peso la nostra ricchezza di biodiversità e di tecnologie all’avanguardia che abbiamo adottato per valorizzarle.
Ad esempio la bioeconomia, che ci insegna a vivere nei confini naturali, impiega le risorse biologiche, provenienti dalla terra e dal mare, come input per la produzione energetica, industriale, alimentare e mangimistica; nella bioeconomia abbiamo una posizione di avanguardia; la stessa bioeconomia consente il recupero di aree degradate non utili alle colture alimentari, organizzando filiere agricole integrate supportate da infrastrutture specifiche.
Rientrano anche i processi bio-based per le industrie sostenibili come i bio-rifiuti, per il loro potenziale notevole come alternativa ai fertilizzanti chimici o per la conversione in bioenergia.
Oltre all’impegno per tutelare il capitale naturale, come risorsa limitata, è necessario accelerare la transizione dalla società basata sui consumi derivati da fonti fossili non rinnovabili a quella basata su fonti bio rinnovabili, potenziando la ricerca e l’innovazione, aprendo spazi per le applicazioni strutturate in tal senso, conquistando la competitività che serve per il progresso verso il futuro, per una società equa e sostenibile.
Imprescindibile garantire un level playing field (parità di condizioni) tra prodotti fossili
e prodotti di origine biologica.
Per ottenere maggiore consenso e partecipazione diffusa da parte dei Cittadini basterebbe immaginare come sarebbe la vita avendo dissipato il capitale naturale; basterebbe evidenziare che nel prezzo dei prodotti fossili non sono considerate le cosiddette esternalità negative, gli effetti collaterali che erodono il capitale naturale e impongono incalcolabili costi occulti di mancata prevenzione; il consumismo accelerato ha migliorato la qualità della vita di molti ma anche relegato
quella di troppi in povertà, nella disuguaglianza; certamente ha messo in discussione il benessere delle generazioni future.
L’industria dovrà sviluppare prodotti che presentino nel corso della loro vita efficienze accentuate, invece che obsolescenze programmate, ostacoli alla riparabilità, garantendo migliori opzioni di smaltimento o di riutilizzo circolare.
Proprio l’affermazione dell’EC può rappresentare quel cambio di mentalità capace di
stimolare un processo di cambiamento radicale.
Le risorse biologiche dovranno caratterizzare la rivoluzione industriale del terzo millennio contenendo le emissioni di CO2 (gas a effetto serra) e il conseguente aumento delle temperature globali al di sotto dei 2°C entro la fine del secolo.
Uno specifico coinvolgimento della società presuppone una consapevolezza conseguente all’educazione sul tema; non può esistere una bioeconomia sostenibile senza questo diretto coinvolgimento per costruire un modello condiviso nella valutazione e nell’apprezzamento; la comunicazione e la premialità devono favorire una reale accelerazione dell’affermazione diffusa di pratiche virtuose e di stili di vita responsabili, confortati da una attenta prevenzione e tutela della legalità che garantisce il rispetto delle regole ed il contrasto a comportamenti devianti.
Le attività che sono impegnate a ridurre l’impatto ambientale e ad adottare governance sostenibili dovrebbero essere incentivate con vantaggi fiscali, con agevolazioni burocratiche e finanziarie anche in considerazione dell’assorbimento delle esternalità negative occulte procurate.
La costruzione di nuovi materiali e l’affermazione dell’EC, unitamente a stili di vita consapevoli e responsabili, sono passaggi obbligati, irrinunciabili.
La filiera delle bioplastiche e dei biochemicals rappresenta il laboratorio per avviare un cambio di paradigma per il modello di sviluppo e per le modalità dei consumi.
L’Italia in questo ambito è all’avanguardia, avendo a portata di mano la strada per recuperare una efficienza strutturale connotata da una distintiva originalità e concretezza a prova di futuro.
Da questa base di partenza si pone la sfida di promuovere ogni iniziativa possibile per portare nell’economia una vera accelerazione e far crescere le opportunità di mettere a proficuo rendimento territori e impieghi prima esclusi, partendo dalle criticità che li hanno emarginati.
Un vero e proprio piano di rigenerazione territoriale e di riqualificazione della cultura consumista, molto lontana da quei valori sostenibili che non possono più essere ignorati.
L’affermazione diffusa di questa filiera richiede l’impegno stabile per l’implementazione di progetti di ricerca e sviluppo, informazione e formazione, supporto di startup e apertura di mercati oggi caratterizzati da consumi poco consapevoli del bene comune e dell’interesse generale.
L’Italia ha diversi altri vantaggi per assumere un ruolo guida in Europa e nel mondo per l’affermazione dell’EC, da posizione avanzata. Come Paese di trasformazione sa ottimizzare l’uso delle materie prime; alla bassa produttività del lavoro allinea l’alta produttività delle risorse; il miglior rapporto di energia consumata per prodotto; la capacità di creare il massimo valore con il minimo impiego di risorse; anche nel campo domestico l’utilizzo di materie prime è minore del 50% rispetto all’Europa così come nel riciclo-riutilizzo, non solo di materie seconde, ma anche di beni usati, la riduzione dei rifiuti è accompagnata dalla più alta percentuale di riciclo sulla totalità
dei rifiuti. Abbiamo raggiunto gli obiettivi fissati dalla UE al 2025 per gli imballaggi, eccetto la plastica, e quasi raggiunti per la raccolta differenziata, per la riduzione delle emissioni in atmosfera, per l’energia rinnovabile, la produzione di biogas; in ultimo sottolineiamo il primato europeo della mobilità GPL/metano e quello mondiale del tessile-moda ecocompatibile.
Questo successo nonostante la disattenzione della pubblica amministrazione e le complicazioni legislative mai semplificate.
Quella italiana è una forza spontanea, ancora insufficiente e acerba, una professionalità dalle competenze estemporanee, troppo poco a sistema.
Infatti ignora le analisi focalizzate sulla ottimizzazione dei diversi canali produttivi, con le rispettive potenzialità; è frenata dalla solita burocrazia e/o dalla resistenza culturale con influenze ideologiche di contrasto aprioristico verso le innovazioni; una forza che lavora con ingegno flessibile per adattarsi alla carenza di materie prime e di ricerca pubblica; l’industria privata brevetta le innovazioni troppo poco rispetto alla reale consistenza dell’innovazione stessa.
Occorre prima di tutto preparare il terreno di cultura e conoscenza sulle opportunità per lo sviluppo di Imprese nella bioeconomia, nell’EC, nella formazione connessa all’adozione di governance sostenibili (casi di studio, spazi di mercato, promozione di filiere, rigenerazione dei territori, riconversione di strutture produttive, risorse finanziarie pubbliche, private, fondazioni, joint venture, incubatori, acceleratori, venture capital, normative di vantaggio regionali, nazionali ed europee).
Occorre un piano d’azione per organizzare un sistema di start-up altamente innovative, promosse dai player maggiori, come ad esempio le bioraffinerie all’avanguardia, attraverso un incubatore-acceleratore appositamente modellato allo scopo.
Ad esempio programmare la riconversione industriale di siti obsoleti dismessi in una logica di rigenerazione del territorio. Infatti la bioeconomia si radica nel territorio attraverso filiere locali di coltura, raccolta, trattamento e trasformazione, vivacizzando un diverso approccio culturale resiliente.
La bioeconomia rappresenta la prospettiva più interessante per la diminuzione dell’utilizzo di risorse non rinnovabili e, contemporaneamente, per incrementare e ottimizzare l’utilizzo delle risorse rinnovabili, rappresentando quindi la pietra miliare dell’EC. La sua definitiva affermazione dipende da un sistema organizzato a cui garantire la disponibilità di biomassa attraverso accordi di filiera, l’utilizzo di terreni marginali o impoveriti di sostanze organiche, lo sfruttamento di terreni abbandonati per coltivare materie prime per produrre bioplastiche compostabili, biolubrificanti e biochemicals, l’impiego dei rifiuti organici urbani, un sistema logistico integrato e l’assorbimento garantito negli appalti pubblici (Green Public Procurement).