
La “tempesta perfetta” che, combinando pandemia, guerra e disastri climatici, ha sconvolto il sistema socio e conomico imponendo nuovi equilibri enigmatici, ha influenzato molti adattamenti che stanno cambiando il modo di produrre e consumare nel nome delle sostenibilità.
Per gestire il cambiamento in atto e comprenderne il meccanismo si sono affermate diverse parole chiave.
La prima, rispetto per gli altri e contrazione dell’egoismo; la seconda, consapevolezza che le abitudini pre pandemiche non possono durare; la terza, impegno di ciascuno ad agire, tutti devono fare la loro parte; la quarta, il consumo responsabile e ragionato, non è un sacrificio ma un’affermazione di sé; la quinta, autenticità, cioè integrità di ruolo, dovere e responsabilità.
Si pensa più al domani, al futuro di chi verrà, improntando i consumi su prodotti fatti meglio, utili, semplici, durevoli, realizzati con materiali controllati; il consumo verrà ridotto aumentando la qualità a scapito della quantità, cominciando dagli stili di vita meno appariscenti. Apparire diventa un comportamento da avanspettacolo, pane del gossip frivolo, fatti privi di notizie che non generano più lo stesso seguito. La crisi dei social ne è la prova. Lo spettacolo è meno spumeggiante e riservato ai veri divi che comunque servono a mantenere accesa la fiammella dei sogni.
Consumi responsabili quindi per dimostrarsi innovatori, pionieri del futuro. Il miglior rapporto prezzo qualità associato allo status symbol tradizionale non basta più; ora lo status symbol è dimostrare di aver recuperato con intelligenza sensibile i valori che contano per il benessere proprio, degli altri, del pianeta.
Il superfluo è in declino, si semplificano le composizioni, le strutture, le ricette, le formule. Il ridimensionamento è necessario per otto miliardi di persone, cominciando da chi ha troppo.
Il successo del vintage e della “seconda mano”, sdoganati per il consenso popolare, è la prova che il riutilizzo dei beni ben fatti sta affermandosi senza ostacoli. Riciclo e risparmio sono virtuosi, non più considerati umilianti. Fattore emergente di successo è la minore obsolescenza, la maggiore durata di un prodotto, la sua riparabilità, la convenienza a manutenerlo nel tempo. Cade la logica della moda che impera e vincola, anzi primeggia la tendenza a cerare in proprio le combinazioni, per avviare l’interoperabilità delle funzioni. Dal modo di vestire a quello di mangiare, dai gusti culturali a quelli sportivi, dalle relazioni sociali a quelle professionali, vince la contaminazione per la maggiore diversificazione nel nome dell’efficienza e della libertà di scelta. Si vuole consumare meglio, coscienziosamente, pensando al benessere delle generazioni future, collegandosi automaticamente all’ambiente in generale, al cambiamento climatico in particolare.
Sta partendo la rivincita del singolo sul cluster di appartenenza, della persona come tale sul lavoratore schiacciato da un sistema produttivo esasperato dalla competizione.
La sostenibilità è matrice di ottimismo perché ci fa sentire liberi dal un consumismo spensierato e grasso, ci stimola a combattere l’inazione; insieme produzione e consumo per credere che sia possibile fermare il declino del pianeta per colpa dei comportamenti umani scellerati.
Il società definita liquida, diventata fluida, è quasi aeriforme, dove la libertà di essere vivi, oggi per domani, non più come pedine, è la nuova aspirazione umana, aperta al coinvolgimento emotivo per contrasatre la solitudine e l’isolamento che stava aggravando la vita comune; crea spazio all’inclusione. Un antitodo alla violenza e alla prepotenza dei pochi che non sanno stare ai tempi e che credono di poter esistere fuori del tempo.