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RECOVERY PLAN, L’OCCASIONE PER UNO SCATTO DI SOSTENIBILITÀ

By 17 Novembre 2020 No Comments

Si scrive Recovery Plan (o Piano di rilancio), si legge transizione verso un’economia sostenibile a tutto tondo. Non solo ambientale, ma anche economica e sociale. Almeno sulla carta.
L’obiettivo è chiaro: il Piano da 750 miliardi di euro, che non a caso Bruxelles ha battezzato Next generation Eu, approvato dai leader europei lo scorso 21 luglio dopo una lunga maratona negoziale, dovrà traghettare i Ventisette verso una nuova era. Dopo l’esplosione della pandemia tornare al passato è ormai impensabile. Un cambio di passo è urgente, perché l’emergenza sanitaria ha messo al tappeto le principali economie dell’area euro, che in media secondo le ultime stime della Commissione Ue archivieranno l’anno con un calo del Pil dell’8,7 per cento. Le maggiori difficoltà si faranno sentire soprattutto in Italia (-11,2%), Francia e Spagna (-10,6 e -10,9%). Di qui la necessità di porre le basi per un futuro all’insegna della resilienza.
La posta in gioco è alta: «La sostenibilità – ha sottolineato a più riprese il Commissario all’Economia Paolo Gentiloni – sarà la sfida centrale del Recovery Plan per disegnare il modello sociale dei prossimi anni». Spetta ora ai governi tradurre questi principi nella realtà, con azioni concrete nei rispettivi Piani di rilancio nazionali. In palio ci sono complessivamente 390 miliardi di sovvenzioni e 360 miliardi di prestiti. Con 209 miliardi l’Italia sarà il primo beneficiario. «Un’occasione che le capitali non dovranno sprecare», dice l’ex ministro ed ex Presidente dell’Istat Enrico Giovannini, portavoce dell’Asvis, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile.
Per ottenere le risorse europee i piani nazionali dovranno rispettare tre grandi priorità: almeno il 37% delle misure dovrà essere destinato all’obiettivo della transizione ambientale, in coerenza con il Green Deal europeo che punta a raggiungere la neutralità climatica nel Vecchio Continente entro il 2050. Bruxelles non accetterà inoltre investimenti dannosi per l’ambiente. E almeno il 20% dovrà servire per investimenti nel digitale (5G, competenze, servizi pubblici), mentre la terza priorità è la sostenibilità sociale. Ma in tutto sono sette le linee guida messe a punto dalla Commissione a metà settembre, dallo sviluppo delle energie rinnovabili alla modernizzazione della Pa.
«Per i Paesi, e in particolare per l’Italia, si tratta di uno sforzo di programmazione di lungo termine senza precedenti. I governi – aggiunge Giovannini – dovranno dar prova di capacità di coordinamento tra tutti i soggetti coinvolti e di coerenza, anche nelle scelte future che non dovranno essere in contrasto con il Piano per evitare di tessere la tela di Penelope, facendo progressi su un fronte e poi di fatto annullarli con azioni nella direzione opposta ».
Le capitali sono al lavoro per mettere a punto i Piani che Bruxelles attende, anche in via preliminare, entro il 15 ottobre, mentre il termine ultimo è il 30 aprile 2021. Qual è la ricetta per non commettere passi falsi? «Il Plan de relance di Parigi – dice Giovannini – può rappresentare un modello da seguire anche in altri Paesi. Per almeno due ragioni: in primo luogo è un programma pluriennale che abbina i fondi provenienti dalla Ue con risorse nazionali. Questa decisione andrebbe presa anche in Italia, perché consente di stimolare la finanza privata che è essenziale per la transizione verso la sostenibilità. In secondo luogo il Piano francese con le tre priorità assegnate a ambiente, competitività e coesione interpreta al meglio lo spirito dell’Agenda Onu 2030 di una sostenibilità a 360 gradi come l’Asvis ha più volte ribadito».
I piani per la ripresa e la resilienza sono valutati dalla Commissione entro due mesi dalla presentazione. Il Recovery Plan non va però considerato uno strumento isolato, ma si inserisce in un ampio quadro di azioni e passaggi che scandiscono il coordinamento delle politiche economiche europee. «Proprio questa nuova governance – spiega Giovannini – è uno dei punti di forza del Next Generation Eu». Il Piano sarà infatti strettamente connesso con il Def (Documento di Economia e Finanza) e il Pnr (Programma nazionale di riforma). Questo significa che non solo i governi dovranno dispiegare nuovi investimenti, ma sono chiamati a mettere in campo riforme strutturali nella stessa direzione.
La valutazione andrà di pari passo con gli obiettivi del Semestre europeo, dove accanto agli squilibri macroeconomici quest’anno è comparsa per la prima volta una valutazione di quelli legati alla sostenibilità. «Se il sistema funzionerà correttamente – conclude Giovannini – il coordinamento economico tra i 27 diventerà anche un coordinamento delle azioni in nome di un futuro più sostenibile e questo metterà l’Europa all’avanguardia nelle politiche per l’attuazione dell’Agenda Onu 2030».
Le regole del gioco ora sono chiare. L’esito della partita è tutto nelle mani della politica.

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