Dopo la fase emergenziale – in cui abbiamo cercato di salvare il salvabile con interventi finanziari di breve periodo, distribuiti a pioggia – è fondamentale passare, al più presto, dalla cura alla riabilitazione del sistema produttivo. La gestione della fase emergenziale ha avuto bisogno di procedure speciali, tanto nei tempi, quanto nei metodi. Ora serve una visione di più lungo periodo, capace di cogliere l’esperienza per apportare i cambiamenti irrinunciabili nel modo di produrre e consumare.
La crisi economica anticipa quella sociale: per questo occorre gestire l’emergenza per il minimo tempo indispensabile. La ripartenza si deve basare su un programma chiaro, con risorse adeguate da concentrare su temi forti come gli investimenti, sopratutto innovativi, capaci di generare occupazione anche nella forma di apprendistato. Più indicate per il futuro sono le risorse mirate a scenari coerenti con i punti di forza italiani, del Made in Italy, per mantenere e rafforzare l’export.
Per i consumi interni lo stimolo dipenderà dalle disponibilità finanziarie messe in campo dalla finanza pubblica, anche se a debito. Criterio preferenziale dovrà essere il sostegno all’occupazione effettiva, piuttosto che alle partite correnti imbrigliate nelle solidarietà stabilizzata. I finanziamenti e i contributi a fondo perduto dovranno preferire il potenziamento delle capitalizzazioni che rendono le attività produttive più dinamiche, coraggiose e resilienti.
La politica dovrà liberarsi dalla pressione del consenso a breve per puntare a quello di medio periodo, conseguenti ai risultati raggiunti con le scelte giuste. Le energie nascoste italiane sono straordinarie. Verranno liberate solo attraverso le attività produttive, dalle micro alle grandi imprese, integrate in filiere organizzate per ottimizzare la competitività e la produttività. Per questo fare sistema è determinante. Il principio di fondo che consentirà alla ripresa di essere solida e duratura sta nella sua impostazione secondo i canoni dell’economia sostenibile.