
Un’Impresa, oggi e più che mai domani, è destinata a sopravvivere e crescere in un contesto incerto e imprevedibile, data la complessità e l’interoperabilità del tessuto socio economico in cui opera, sviluppato con variabili e fattori potenziati a dismisura dall’innovazione, dalla globalizzazione; un contesto che allo stato comporta benessere gratificante per pochi e diseguale per troppi.
Le relazioni tra le parti tendono a diventare ingovernabili, tanto intollerabili sono le disuguaglianze e le ferite al territorio e all’ambiente, al bene di tutti.
Il principio della Sostenibilità può semplificare e rendere più trasparenti le regole dell’economia e della finanza, perché matrice virtuosa del riequilibrio degli interessi comuni; perché conferisce resilienza, concertando le casualità che mettono a rischio le gestioni; perché approfondisce le analisi, semplificando i programmi con cui la visione orienta la missione; perché impone di dare rilievo alla valutazione degli impatti, delle influenze, delle conseguenze di ogni azione quando altera o sopraffa ciò che la natura ci offre spontaneamente.
I beni che la natura ci mette a disposizione non possono essere modificati e consumati impedendo alle generazioni future di goderne; la proprietà va intesa come provvisoria, un diritto di trarne vantaggio insieme a un dovere di farne custodia.
La natura è un complesso di beni finiti che non possono garantire un consumo infinito.
L’innovazione è giusta se incrementa l’uso dei beni parallelamente alla loro tutela.
L’Imprenditore, secondo la norma civilistica, è chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi; il suo scopo è fare utili e dividerli tra gli shareholder (i soci/azionisti). La realtà ha superato questa definizione perché oltre al profitto l’Impresa deve garantire altri risultati e rispettare altri doveri.
È interesse dello Stato, cioè di tutti, cambiare questa norma che limita il fine di un’attività produttiva; non può bastare la semplificazione che pagando le tasse sull’utile l’Impresa assolva a tutti i suoi doveri. Vanno calcolate, oltre l’impegno per agire correttamente verso i suoi stakeholder (aventi causa), anche e soprattutto le esternalità, cioè i costi sociali, i vizi occulti, i danni collaterali e i rischi non calcolati che ricadono sulla collettività.
La nostra Costituzione recita che “l’iniziativa economica privata è libera”; ma chiarisce che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Un’Impresa sostenibile misura e valuta gli effetti diretti e indiretti generati dalle sue attività. Non si tratta di contrastare la concezione liberale capitalista; si tratta di dare regole più appropriate e obiettivi più delineati per assicurare comportamenti corretti e rispettosi del territorio (sistema ambiente e biodiversità), della società (sistema comunità e istituzioni), del mercato (sistema produzione e consumo) nella legalità, con trasparenza; nell’interesse delle persone, per consentire l’armonia per una crescita economica garante del benessere equo e sostenibile.
Possiamo dire che il profitto non è un fine ma un mezzo per creare valore da condividere.
L’Impresa deve assumersi responsabilità, mantenere gli impegni assunti con coerenza, con un profilo allineato al bene comune e all’interesse generale, adattandosi all’evoluzione dei tempi, dello spirito dei tempi, senza alterare la missione che si è data sulla base della visione.
L’obiettivo profitto è sacrosanto, purché non penalizzi ma contribuisca a chi gli permette di prosperare, la società, il territorio, il mercato.