In generale, la prima reazione al Coronavirus è stata drammaticamente superficiale: solo pochi scienziati hanno saputo ipotizzare che l’epidemia cinese sarebbe diventata in qualche settimana pandemia. L’Italia è stata la prima ad essere investita duramente ma ha anche reagito in maniera abbastanza concreta con interventi forti. Alcuni Paesi sono rimasti alla finestra, molti di più hanno interpretato questa fermezza con umorismo – i “soliti italiani, pasticcioni e improvvisatori, pizza e mandolino” – prendendo una posizione contraria, non interventista. Guarda caso sono proprio quei leader politici abituati a proclami e promesse per il consenso immediato, di rango populista, anche sbruffoni e autoreferenziali. Loro si, pasticcioni e improvvisatori! La realtà ha spazzato via lo scetticismo e le posizioni insensate sono tutte girate allineandosi all’Italia, il primo Paese dopo la Cina a vedere la luce in fondo al tunnel.
A parte queste considerazioni, che una volta tanto hanno messo l’Italia in buona luce, dovremmo trarre l’impegno di adottare tre cambiamenti richiesti dal futuro. Il primo, riscoprire l’importanza dello Stato centrale nel governo della sanità, delle infrastrutture e della politica economica, a patto che la burocrazia venga fortemente riorganizzata e depotenziata. Il secondo, pretendere da chi ci governa competenza, esperienza e lungimiranza nel nome della democrazia che sappia decidere velocemente con chiarezza, nell’interesse generale. Il terzo, recuperare il senso civico annacquato dal consumismo e dalla superficialità, combattere l’iniquità e l’egoismo che hanno inquinato la società. Questa incredibile esperienza dovrà favorire una nuova mentalità dei cittadini, affinché comincino a scegliere consapevolmente quando votano e sostenibilmente quando consumano.